A volte ho l'impressione che l'organizzazione dell'ospedale italiano combaci con quella del lavoro nei campi di cento, duecento anni fa. C'è il primario che è un prolungamento del vecchio padrone, libero di manifestare tutte le proprie manie e a cui tutti devono dare sempre ragione, c'è il caporeparto che è il fattore arcigno e autoritario che ti tallona passo passo e che non brilla quasi mai per comprensione ed empatia e infine c'è l'infemiere, che la legge dichiara responsabile dell'assistenza, ma che in realtà conta come l'antico bracciante, un semplice esecutore, un due di coppe, la remota rotella dell'ingranaggio cui attribuire il lavoro oneroso e le colpe per tutto quello che non va.
Fortunatamente non dappertutto è così, ma gran parte della mia esperienza professionale mi ha portato a queste amareggiate conclusioni.
Era ingiusto il trattamento riservato nei secoli scorsi al bracciante, che spesso era analfabeta, ma non per questo privo di dignità. Oggi, invece, l'infermiere è laureato anche se sarà ormai da trent'anni che moltissimi infermieri si affacciano al lavoro ospedaliero, pieni di buone intenzioni e aspettative, forniti di diplomi di scuola superiore, frequenze universitarie e, al di là dei titoli, preparazione culturale e intelligenza di tutto rispetto. Eppure il modo di lavorare è rimasto quello di secoli fa: strutture rigidamente gerarchiche, autoritarie, obsolete, alienate ed alienanti.
Ci sono molte ricerche scientifiche, puntualmente ignorate, che confermano l'inadeguatezza della attuale organizzazione degli ospedali. Si badi: una cattiva organizzazione non produce danni soltanto alle persone che la subiscono, ma ha ripercussioni negative anche in termini economici. Sono costi in più, tasse in più da pagare, soldi in più che devono sborsare i cittadini.
Gli infermieri scarseggiano, ma nulla cambia in Italia, ci sono troppi privilegi e prebende da difendere, ci sono lobby potenti che arrivano fino al parlamento e che frenano qualsiasi riforma. Non c'è traccia del passaggio della modernità in molte, troppe corsie italiane. Secoli di pensiero manageriale e innovativo sono passati invano. Alle scuole di economia insegnano delle cose che poi, nella pratica quotidiana, sono disattese. Evidentemente leggere, studiare e aggiornarsi è faticoso e chi comanda ha di meglio da fare.
A volte immagino che chi dirige tragga gratificazione da tutto ciò, una sensazione di onnipotenza, una piacevole sensazione di superiorità. Potere è meglio che fottere, dice un vecchio proverbio (siciliano?). Non lo so, mi riesce difficile immedesimarmi, non appartengo a razza padrona alcuna. L'autorealizzazione di una persona ritengo passi attraverso lo sviluppo e l'esercizio di altre qualità. Opprimere gli altri non mi ha mai interessato, i machiavellismi mi annoiano.
Ma non chiediamoci se nessuno vuol più fare l'infermiere e se quelli che ci sono appena possono scappano, si imboscano, cambiano lavoro.
Monday, March 26, 2007
Braccia strappate all'agricoltura
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