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Tuesday, July 31, 2007

La biblioteca

Viviamo nella società della conoscenza, nell'epoca delle "organizzazioni che apprendono", eppure per chi svolge attività che richiedono un aggiornamento continuo è difficile avere accesso alle informazioni giuste, ai testi di studio, a quelle innovazioni scientifiche che determinano il progresso, aumentano l'efficacia degli interventi, migliorano il servizio, incrementano la soddisfazione dei clienti. Una biblioteca ricca e ben funzionante è una necessità inderogabile per qualsiasi azienda che abbia raggiunto una certa dimensione, per qualsiasi istituzione, a maggior ragione se si occupa della salute dei cittadini.
Nella mia ormai non più breve carriera lavorativa mi sono invece imbattuto in biblioteche di ogni tipo, quasi tutte disfunzionali: biblioteche grandi come sgabuzzini, biblioteche in cui i libri sono tenuti sotto chiave, biblioteche in cui l'accesso è consentito per un'ora qualche giorno la settimana, biblioteche che "non ci sono i soldi per comprare i libri", biblioteche che non sai mai con esattezza dove sono ubicate, nascoste negli anfratti più improbabili, biblioteche che per consultare un testo o prenderlo in prestito devi annunciarti in anticipo. Sempre hai l'impressione di essere un ospite indesiderato, uno sgradito rompicoglioni. Capisci che i libri, se hai ancora l'ambizione, l'orgoglio e il senso di responsabilità di mantenerti aggiornato, te li devi comprare attingendo al magro conto corrente personale. Così non va bene.
Passi per i paesi più avanzati, ormai per noi miraggi irraggiungibili, dove in biblioteca ti puoi fermare a studiare persino di notte, ma anche paesi un tempo considerati "in via di sviluppo" come Cina, India e Corea ci stanno superando sul piano della conoscenza. Un ritardo, il nostro, che comincia a costarci caro. Da noi sembra ancora prevalere la vecchia logica patriarcale e contadina che per tenere più saldamente il potere è meglio concentrare il sapere nelle mani di pochi ed escludere la maggioranza dall'accesso alle informazioni. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Sunday, October 29, 2006

Via gli infermieri dall'università

Scrive sull'ultimo numero de L'Espresso Silvio Garattini, direttore dell'Istituto Mario Negri di Milano, per altri versi scienziato e organizzatore di molti meriti: "Abbiamo troppe facoltà che vogliono fare tutto: dalla formazione degli infermieri ai dottori di ricerca (già, il fondo del barile e l'empireo, l'alfa e l'omega, ndr) mentre bisognerebbe ben distinguere le scuole che formano tecnici da quelle che preparano i dirigenti".
Insomma, pare che la presenza degli infermieri corrompa, secondo l'esimio professore, la purezza della già pericolante università italiana. Ma guardi, caro professore, che non soltanto in Italia gli infermieri si formano all'università: accade in tutti quei Paesi avanzati, cui noi guardiamo con ammirazione.
Sul Sole Sanità mi capita poi di leggere un trafiletto rigorosamente anonimo, dal titolo "Dottori sì... col vocabolario", in cui si ironizza sul titolo di "dottore", che potrebbe essere conferito anche agli infermieri.
Più che di sottile ironia, in verità nell'articolo si fa del bieco sarcasmo di retroguardia.
Eh sì, signora mia, il mondo va prorio a rotta di collo e non ci sono più le mezze stagioni. Vuole mettere quel bell'ordine ottocentesco, in cui ognuno stava al proprio posto?

Sunday, October 22, 2006

Una nuova cultura organizzativa

Scrive il professor Umberto Veronesi, ex ministro della Sanità, su L'Espresso, datato 26 ottobre 2006, nell'articolo dal titolo "Veronesi Hospital":
"E' inutile acquistare apparecchiature modernissime e preoccuparsi di gestire le alte tecnologie, quando si dimentica che il vero valore aggiunto di un'impresa sono le risorse umane. Nella sanità, che non è tarata sul profitto, ma che va comunque gestita come impresa, non si può rischiare di aumentare ancora di più il gap tra evoluzione tecnologica e involuzione organizzativa. La cosiddetta umanizzazione degli ospedali (e in genere dei servizi preposti alla salute del cittadino), comincia proprio con l'interesse partecipativo di chi ci lavora, ed è certo che non si può raggiungere la qualità delle cure se non si fa passare una cultura nuova, di valorizzazione professionale di medici, biologi, tecnici e infermieri. Con una novità molto più umanizzante delle volenterose piante verdi che stanno comparendo un po' dappertutto: la formazione dei curanti dovrà avere come punto di riferimento la persona nel suo complesso e non solo la preparazione scientifica e tecnico-operativa. Ma la qualità di queste relazioni dipende molto spesso dalle condizioni di lavoro riservate al personale: contano condizioni come il coinvolgimento, la formazione, l'aggiornamento continuo professionale, la capacità del direttore di divisione di fare squadra, di stimolare motivazioni intellettuali e creare un'organizzazione che cura con grande attenzione la continua crescita professionale".
Si tratta di opinioni largamente condivisibili, che sfondano porte aperte. Purtroppo, anche nelle realtà dove sono propagandate, si rivelano spesso vuote formule, parole d'ordine che rimangono nella lettera, ma non nello spirito, verbi che non si fanno mai carne.
Siamo, ahinoi, ancora lontani anni luce da una cultura organizzativa davvero nuova, estranea all'arroganza, all'immobilismo e ai privilegi.

Monday, September 25, 2006

Chirurgia e Formula1

I giornali riportano la notizia che il primario di chirurgia di un ospedale di Londra si è rivolto ad alcuni team di Formula 1, fra i quali anche quello della Ferrari, per migliorare i sincronismi tra medici e infermieri durante gli interventi chirurgici. Non ci trovo niente di male, anzi, mi sembra un'ottima idea. La modernità è fatta di contaminazione tra discipline e saperi diversi e cosa, meglio dello sport, sempre alla ricerca del primato e dell'eccellenza, può aiutare a migliorare le performance.

Fantozzi in corsia

Chiedo il permesso di assentarmi tre ore per partecipare a un corso di aggiornamento, che mi hanno quasi obbligato a frequentare. Se perdo questa lezione, addio crediti ECM. I colleghi sanno di cosa parlo. Naturalmente mi rispondono di no. Ben mi sta. In vent'anni di lavoro avrò usufruito di due giorni di permesso retribuito, da anni non faccio un giorno di malattia. Comunque mi rispondono di no. Eppure ci sono in servizio altri 5 infermieri e 4 OSS. Ma se manco io pare che l'ospedale si fermi. Può assentarsi il primario, i medici, i tecnici, la caposala, la dirigente, gli OSS e tutto procede per il meglio. Ma io non posso mancare. OK: domani chiedo un colloquio col direttore: se sono io che sostengo l'ospedale esigo che mi venga almeno triplicato lo stipendio.