Il SSN al collasso? Fra carenze strutturali, illusioni tecnologiche e la necessità di una riforma radicale
Il recente editoriale di Sergio Harari pubblicato sul Corriere della Sera fotografa con lucidità la deriva del Servizio Sanitario Nazionale, da tempo sotto stress e ormai al limite della sostenibilità. Le soluzioni tampone – come l'importazione accelerata di personale sanitario da altri Paesi, spesso poco formato e impreparato ad affrontare la complessità del contesto italiano – rivelano la profondità di una crisi sistemica che non si può più ignorare.
Il SSN non è solo in affanno. È malato. E non si può curare con cerotti.
Un problema di risorse. Ma non solo
Il refrain è noto: mancano risorse economiche. Gli stipendi di infermieri e medici sono fra i più bassi d’Europa, il turn over è stato a lungo bloccato, le assunzioni sono spesso a tempo determinato e il burnout colpisce con una frequenza ormai endemica.
Ma la crisi non è solo quantitativa. È qualitativa. Perché non basta assumere più personale: serve personale formato, motivato, integrato in un sistema organizzato e meritocratico. E invece si continua a chiedere di “tamponare”, a spingere sull’abnegazione individuale mentre si ignora l'architettura malata del sistema.
Ivan Illich e la “nemesi medica”: profezia realizzata?
Negli anni ’70, il filosofo austriaco Ivan Illich denunciava nei suoi scritti (Nemesi medica, 1975) la tendenza delle società moderne a delegare in toto la gestione della salute a un apparato burocratico-tecnologico sempre più autoreferenziale, in cui il paziente diventava passivo e dipendente. Sotto accusa erano non solo l’eccesso di medicalizzazione, ma anche la perdita di autonomia e di senso critico da parte dei cittadini.
Rileggere Illich oggi fa impressione. La sua critica radicale sembra anticipare molte delle derive attuali: ospedali diventati fabbriche di prestazioni, pazienti trasformati in utenti-clienti, professionisti ridotti a operatori schiacciati da scartoffie, budget e linee guida impersonali. Il risultato è un sistema che cura sempre di più, ma guarisce sempre meno. Che spende miliardi, ma non riesce a prendersi cura.
Privato e pubblico: competizione o sinergia possibile?
Molti invocano la collaborazione col settore privato come ancora di salvezza. E in alcuni casi può avere senso: laboratori diagnostici, chirurgie elettive, riabilitazioni possono essere svolti anche in regime convenzionato, alleggerendo il carico del pubblico.
Ma attenzione: non c’è sinergia senza regole. Quando il privato lavora solo in regime di profitto, senza limiti e senza controllo, non aiuta il pubblico, lo spolpa. Lo usa come serbatoio di risorse (formazione, prestazioni d'urgenza, pazienti complessi), mentre si riserva le attività più remunerative. La privatizzazione strisciante non è una soluzione, ma parte del problema.
Tecnologia e digitalizzazione: strumenti, non scorciatoie
Il PNRR e molti piani regionali puntano fortissimo sul digitale. Cartelle cliniche elettroniche, telemedicina, intelligenza artificiale. Ma senza un progetto umano e culturale forte, la tecnologia rischia di diventare solo un ulteriore livello di complicazione.
Troppi sistemi digitali sono mal progettati, imposti dall’alto, frammentati. A volte aumentano il carico burocratico invece di snellirlo. Non basta informatizzare: bisogna farlo bene, con chi lavora nei reparti, non contro di loro.
Serve una nuova governance sanitaria
Occorre una classe dirigente tecnica, competente, selezionata per merito e non per appartenenza politica o fedeltà burocratica. Serve un management ospedaliero formato sulla logica dei processi, sul benessere del personale, sulla qualità delle cure. Serve una dirigenza capace di ascoltare, di coinvolgere gli operatori, di dare senso al lavoro quotidiano.
E serve anche, finalmente, una riforma strutturale del SSN:
- una razionalizzazione vera della rete ospedaliera, senza sprechi ma anche senza deserti sanitari;
- un rilancio delle cure primarie, delle Case della Comunità, dell’assistenza territoriale;
- un investimento serio nella formazione continua, con percorsi di carriera riconosciuti e retribuiti;
- stipendi dignitosi che fermino l’emorragia di medici e infermieri verso l’estero o verso il privato;
- una burocrazia semplificata che consenta a medici e infermieri di fare ciò per cui sono nati: curare le persone.
In conclusione
Il SSN è uno dei pilastri della nostra democrazia. Ma oggi è un edificio pericolante. Rimetterlo in piedi non sarà facile né veloce. Servirà coraggio politico, visione strategica, e la volontà di ascoltare chi ci lavora ogni giorno, non solo chi lo amministra.
Chi pensa che basti “reclutare” infermieri da altri Paesi o comprare qualche software per risolvere tutto, sta solo prendendo tempo. E intanto, il tempo scorre. E il paziente – il SSN – peggiora.
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