Chiunque eserciti una professione sanitaria conosce l'imbarazzo di dover praticare per la prima volta una procedura invasiva su un paziente. Ricordo che la mia prima iniezione intramuscolare me la fecero praticare su una vecchietta semicomatosa così che, anche se avessi avuto la "mano pesante", non si sarebbe lamentata. Più traumatica fu la mia prima flebo, praticata a un eroinomane che, in quanto alla capacità di reperire un accesso venoso, era molto più esperto e abile di me. Certo, si arrivava a intervenire sul paziente teoricamente preparati e dopo aver osservato gli infermieri più esperti dei reparti di tirocinio decine di volte (apprendimento per imitazione). Ma un margine di rischio, nel passaggio dalla teoria alla pratica esiste sempre, talvolta anche consistente, e l'esperienza vissuta da operatore e malato può essere, in talune occasioni, anche molto sgradevole.
Ben venga allora la metodologia della simulazione, usando istruttori, manichini, computer e set didattici virtuali in cui mettere alla prova in sicurezza le proprie conoscenze e migliorare le proprie performance. Ideata in America, in ambito militare e per addestrare i piloti di aereo, la simulazione si è presto estesa negli Stati Uniti, già a partire dagli anni Sessanta, ai contesti sanitari. Dapprima e principalmente negli ambienti che si occupano di pazienti critici ( Anestesia e Rianimazione, Sala operatoria, Terapia Intensiva, Pronto Soccorso, Cardiologia, Pneumologia, Neurologia, Pediatria). L'Europa è ancora in ritardo nell'adozione di questa innovativa metodologia didattica e l'Italia è, in Europa, uno dei fanalini di coda. La tendenza, tuttavia, è quella di colmare, anche nel Vecchio Continente, il divario e recuperare il tempo perso. Magari focalizzandosi non soltanto sulle abilità tecniche, ma anche su quelle relazionali e sullo sviluppo delle capacità di medici e infermieri di lavorare efficacemente in team.
La simulazione promette nei prossimi anni di rivoluzionare la didattica, privilegiando l'apprendimento pratico in situazioni cliniche simulate e controllate rispetto alla vecchia e forse superata lezione ex cathedra. Contribuendo a migliorare, nella realtà del lavoro quotidiano, la sicurezza e la soddisfazione di operatori e malati e ottenendo migliori outcome.
Alla simulazione ha dedicato un interessante supplemento Il Sole Sanità nel mese di settembre. Sul Web, alcuni link interessanti sull'argomento sono:
Simulearn
Sesam (Società europea per la simulazione applicata alla medicina)
Imsh (International Meeting on Simulation in Healtcare)
Sunday, October 26, 2008
Saturday, October 04, 2008
Infermiere professione qualificata
Sul sito di Repubblica è uscito un articolo a firma di Federico Pace che individua le 30 professioni "senza crisi", quelli che le aziende assumono. E accanto a controller e contabili, programmatori e progettisti, ci sono gli infermieri, insieme a fisioterapisti e assistenti sociali. In un periodo in cui sta aumentando la disoccupazione, anche intellettuale, in tutto il Paese, alcuni "profili qualificati" come quello di infermiere sono richiestissimi dal mercato del lavoro.
Con buona pace delle fiction italiane sugli ospedali, dove l'infermiere è quasi sempre un poveraccio analfabeta e però dal cuore buono o della sgangherata e maleducata infermiera Gemma del programma "Quelli che il calcio", a riprova della stupidità della televisione, almeno di certa televisione, incapace di cogliere i mutamenti sociali.
Con buona pace delle fiction italiane sugli ospedali, dove l'infermiere è quasi sempre un poveraccio analfabeta e però dal cuore buono o della sgangherata e maleducata infermiera Gemma del programma "Quelli che il calcio", a riprova della stupidità della televisione, almeno di certa televisione, incapace di cogliere i mutamenti sociali.
Saturday, July 19, 2008
Professori e fannulloni
Stamattina al lavoro è andata abbastanza bene. Nessuna emergenza vera. Qualcuno con la febbre, un altro con il vomito, il paziente della prima stanza che desaturava, quello accanto agitato, il signore del letto 25 che non riusciva ad urinare. Problemi cui si può ovviare: un po' di tachipirina, un plasil intramuscolo, un po' di ossigeno, una sorveglianza assidua, un cateterismo estemporaneo e si ottiene una risoluzione dei sintomi almeno temporanea. Certo, tutti i degenti hanno il loro problema personale, tutti abbisognano di aiuto personalizzato e poi c'è il telefono che squilla in continuazione, spesso con le richieste più strane e ci sono le incombenze amministrative. Si arriva allo scambio di consegne col turno successivo con l'unico desiderio di buttarsi su un letto e dormire un paio d'ore, per smaltire la fatica.
Eppure da un po' di tempo in qua è diventata moneta corrente l'equazione dipendente pubblico = fannullone. Già, nessuno può sfuggire alle ingiurie della gente e del tempo, diceva il saggio. Pazienza, non è l'amor proprio il problema fondamentale.
Aggiungo che sulle assenze per malattia posso anche essere d'accordo. Non mi piacciono gli arroccamenti demagogici e trovo ingiusto che chi sta a casa guadagni quanto chi sgobba sul posto di lavoro e manda avanti la baracca. Diciamocelo francamente: se mettersi in mutua è economicamente conveniente, è ovvio che molti vi ricorrano, anche se si tratta di comportamenti eticamente censurabili.
Sono però deluso dall'approccio semplificatorio del ministro Brunetta. Da un aspirante premio Nobel per l'Economia mi aspettavo di più. Non è riducendo le assenze per malattia e punendo i dipendenti pubblici che si migliorano le prestazioni della Pubblica Amministrazione. Non è nemmeno appellandosi al principio di autorità (parente stretto dell'autoritarismo e diverso dall'autorevolezza), al rispetto delle gerarchie, al potere dei capiufficio, come invoca l'altro ministro Sacconi, che si modernizza l'apparato. Semmai si tenta una regressione all'Ottocento.
Quanti giorni sono andato al lavoro motivatissimo e dopo un quarto d'ora avevo soltanto voglia di mandare tutti a quel paese. Per usare un eufemismo, diciamo che la cultura manageriale vigente in molti settori dirigenziali della Pubblica Amministrazione appare inadeguata. Non lo dico io, ma in Italia quanto a trasparenza, orientamento al risultato, meritocrazia, valutazione e controllo delle prestazioni erogate siamo messi male. Diffondiamo le pratiche manageriali migliori, mettiamo a disposizione di tutti non ferrivecchi degni dell'ex economia sovietica, ma organizzazioni al passo coi tempi, con obiettivi ben definiti, validati e controllati da organismi indipendenti. Penalizziamo gli incompetenti, i furbi e gli opportunisti, che talvolta si annidano anche tra i vertici organizzativi, come eloquentemente dimostrano i recentissimi scandali sanitari ed evitiamo che le persone intelligenti e volonterose si trovino a disagio e demotivate perchè costrette a prendere ordini incongrui e irrazionali. Insomma, ascoltiamo stavolta il professor Ichino e adottiamo i suoi consigli, anche se provengono dall'opposizione. Per il bene della nazione.
Eppure da un po' di tempo in qua è diventata moneta corrente l'equazione dipendente pubblico = fannullone. Già, nessuno può sfuggire alle ingiurie della gente e del tempo, diceva il saggio. Pazienza, non è l'amor proprio il problema fondamentale.
Aggiungo che sulle assenze per malattia posso anche essere d'accordo. Non mi piacciono gli arroccamenti demagogici e trovo ingiusto che chi sta a casa guadagni quanto chi sgobba sul posto di lavoro e manda avanti la baracca. Diciamocelo francamente: se mettersi in mutua è economicamente conveniente, è ovvio che molti vi ricorrano, anche se si tratta di comportamenti eticamente censurabili.
Sono però deluso dall'approccio semplificatorio del ministro Brunetta. Da un aspirante premio Nobel per l'Economia mi aspettavo di più. Non è riducendo le assenze per malattia e punendo i dipendenti pubblici che si migliorano le prestazioni della Pubblica Amministrazione. Non è nemmeno appellandosi al principio di autorità (parente stretto dell'autoritarismo e diverso dall'autorevolezza), al rispetto delle gerarchie, al potere dei capiufficio, come invoca l'altro ministro Sacconi, che si modernizza l'apparato. Semmai si tenta una regressione all'Ottocento.
Quanti giorni sono andato al lavoro motivatissimo e dopo un quarto d'ora avevo soltanto voglia di mandare tutti a quel paese. Per usare un eufemismo, diciamo che la cultura manageriale vigente in molti settori dirigenziali della Pubblica Amministrazione appare inadeguata. Non lo dico io, ma in Italia quanto a trasparenza, orientamento al risultato, meritocrazia, valutazione e controllo delle prestazioni erogate siamo messi male. Diffondiamo le pratiche manageriali migliori, mettiamo a disposizione di tutti non ferrivecchi degni dell'ex economia sovietica, ma organizzazioni al passo coi tempi, con obiettivi ben definiti, validati e controllati da organismi indipendenti. Penalizziamo gli incompetenti, i furbi e gli opportunisti, che talvolta si annidano anche tra i vertici organizzativi, come eloquentemente dimostrano i recentissimi scandali sanitari ed evitiamo che le persone intelligenti e volonterose si trovino a disagio e demotivate perchè costrette a prendere ordini incongrui e irrazionali. Insomma, ascoltiamo stavolta il professor Ichino e adottiamo i suoi consigli, anche se provengono dall'opposizione. Per il bene della nazione.
Sunday, February 17, 2008
Quando il sogno è cambiare lavoro
Secondo lo studio europeo Next un infermiere su due desidererebbe cambiare lavoro. Ebbene, quell'infermiere stanco e demotivato gode di tutta la mia solidarietà e comprensione. I motivi della disaffezione alla propria altrimenti nobile e umanitaria professione vengono individuati dalla ricerca nello stress, nei turni massacranti e nell'organizzazione del lavoro, caratterizzata da scarso coinvolgimento e partecipazione.
Si propongono nuovi sistemi organizzativi. Negli anni ho avuto modo di sperimentare molte di queste nuove soluzioni manageriali, che purtroppo, malgrado le migliori intenzioni, finiscono in breve tempo per essere distorte e, in accordo con la secolare tradizione italiana, per cambiare tutto affinché niente realmente cambi. Le rivoluzioni manageriali in ambito sanitario (ma non solo) hanno fallito, per la semplice ragione che molti continuano a coltivare una concezione del potere maligna e distruttiva, di fronte alla quale nessuna nuova tecnica organizzativa può opporre rimedio. In Italia si usa il potere in modo personalistico, essenzialmente per opprimere e non per migliorare la qualità della vita delle persone. Senza un cambiamento culturale che conduca ad un esercizio più maturo del potere non c'è speranza.
Si propongono nuovi sistemi organizzativi. Negli anni ho avuto modo di sperimentare molte di queste nuove soluzioni manageriali, che purtroppo, malgrado le migliori intenzioni, finiscono in breve tempo per essere distorte e, in accordo con la secolare tradizione italiana, per cambiare tutto affinché niente realmente cambi. Le rivoluzioni manageriali in ambito sanitario (ma non solo) hanno fallito, per la semplice ragione che molti continuano a coltivare una concezione del potere maligna e distruttiva, di fronte alla quale nessuna nuova tecnica organizzativa può opporre rimedio. In Italia si usa il potere in modo personalistico, essenzialmente per opprimere e non per migliorare la qualità della vita delle persone. Senza un cambiamento culturale che conduca ad un esercizio più maturo del potere non c'è speranza.
Saturday, October 20, 2007
... ma il barone-Dio rovina l'Italia
Qualche giorno fa è apparso su La Stampa un articolo dal titolo emblematico: Il barone-Dio rovina l'Italia. Scrive l'estensore dell'articolo: "L'Health Consumer Powerhouse, istituto indipendente di analisi e informazione di Bruxelles, dice che la Sanità italiana è rovinata dai baroni. Molti, troppi nostri medici si credono Dio. [...] Per fortuna qualcuno ci dà una speranza: 'Le giovani generazioni sono meglio, hanno capito che l''aria" è cambiata, che non si può portare avanti gente che non lo merita solo perché ha appoggi o è amico dell'amico"'.
Ritengo che anche il ritardo dello sviluppo della professione infermieristica sia imputabile, nel nostro Paese, in gran parte ad un sistema organizzativo obsoleto, feudale e demotivante, dove il merito è quotidianamente negletto e dove gli interessi e i privilegi particolari prevalgono spesso sull'interesse generale. Un sistema, inoltre, assai poco trasparente.
E' di questi giorni la notizia che il premio Nobel per la Medicina è stato assegnato a un ricercatore nato in Italia, ma emigrato bambino negli Stati Uniti, Mario Capecchi, noto per i suoi studi sull'ingegneria genetica e le cellule staminali. Commenta sarcasticamente Il Sole Sanità: "Ora in tanti si spellano le mani per applaudirlo, celebrando i suoi natali italiani. Ma solo pochi si sono chiesti: ma se fosse rimasto in Italia l'avrebbe mai vinto quel Nobel?".
Riflettiamo dunque e soprattutto speriamo che anche chi ci governa ci rifletta su seriamente.
Ritengo che anche il ritardo dello sviluppo della professione infermieristica sia imputabile, nel nostro Paese, in gran parte ad un sistema organizzativo obsoleto, feudale e demotivante, dove il merito è quotidianamente negletto e dove gli interessi e i privilegi particolari prevalgono spesso sull'interesse generale. Un sistema, inoltre, assai poco trasparente.
E' di questi giorni la notizia che il premio Nobel per la Medicina è stato assegnato a un ricercatore nato in Italia, ma emigrato bambino negli Stati Uniti, Mario Capecchi, noto per i suoi studi sull'ingegneria genetica e le cellule staminali. Commenta sarcasticamente Il Sole Sanità: "Ora in tanti si spellano le mani per applaudirlo, celebrando i suoi natali italiani. Ma solo pochi si sono chiesti: ma se fosse rimasto in Italia l'avrebbe mai vinto quel Nobel?".
Riflettiamo dunque e soprattutto speriamo che anche chi ci governa ci rifletta su seriamente.
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Monday, October 15, 2007
La sanità italiana? E' vicecampione del mondo
La Sanità italiana è la seconda al mondo per capacità e qualità dell'assistenza in rapporto alle risorse investite. E' quanto ha rilevato l'Oms in un'indagine che ha messo a confronto i sistemi sanitari di tutto il mondo. Tra i punti di forza del nostro Ssn spicca l'aspettativa di vita alla nascita, che ci vede al primo posto, la leadership europea per numero di farmaci gratuiti offerti ai cittadini e l'eccellenza nel campo dei trapianti e della diagnostica ad alta tecnologia. La percentuale di persone che riferiscono di poter raggiungere un ospedale in meno di 20 minuti è superiore alla media europea. Inoltre più dell'80% degli italiani si ritiene abbastanza o molto soddisfatto del proprio stato di salute. E' alto anche il gradimento espresso nei confronti dei servizi sanitari: oltre il 60% dei cittadini apprezza la Sanità pubblica, con punte dell'80% in alcune Regioni.
(tratto da: Giuseppe Di Marco, "L'Oms dà le pagelle all'italia" Il Sole 24 ore Sanità 9-15 ottobre 2007)
(tratto da: Giuseppe Di Marco, "L'Oms dà le pagelle all'italia" Il Sole 24 ore Sanità 9-15 ottobre 2007)
Saturday, August 04, 2007
In Italia aumento di infermieri negli ultimi quindici anni
Secondo il rapporto Ocse "Healt data" 2007 è in aumento il numero di infermieri nell'area Ocse. Il fenomeno riguarda anche l'Italia.
Nel nostro Paese siamo passati, negli ultimi 15 anni, da 5 infermieri ogni 1000 abitanti a 7 infermieri ogni mille abitanti.
Il futuro rimane però ancora un'incognita.
Nel nostro Paese siamo passati, negli ultimi 15 anni, da 5 infermieri ogni 1000 abitanti a 7 infermieri ogni mille abitanti.
Il futuro rimane però ancora un'incognita.
Tuesday, July 31, 2007
La biblioteca
Viviamo nella società della conoscenza, nell'epoca delle "organizzazioni che apprendono", eppure per chi svolge attività che richiedono un aggiornamento continuo è difficile avere accesso alle informazioni giuste, ai testi di studio, a quelle innovazioni scientifiche che determinano il progresso, aumentano l'efficacia degli interventi, migliorano il servizio, incrementano la soddisfazione dei clienti. Una biblioteca ricca e ben funzionante è una necessità inderogabile per qualsiasi azienda che abbia raggiunto una certa dimensione, per qualsiasi istituzione, a maggior ragione se si occupa della salute dei cittadini.
Nella mia ormai non più breve carriera lavorativa mi sono invece imbattuto in biblioteche di ogni tipo, quasi tutte disfunzionali: biblioteche grandi come sgabuzzini, biblioteche in cui i libri sono tenuti sotto chiave, biblioteche in cui l'accesso è consentito per un'ora qualche giorno la settimana, biblioteche che "non ci sono i soldi per comprare i libri", biblioteche che non sai mai con esattezza dove sono ubicate, nascoste negli anfratti più improbabili, biblioteche che per consultare un testo o prenderlo in prestito devi annunciarti in anticipo. Sempre hai l'impressione di essere un ospite indesiderato, uno sgradito rompicoglioni. Capisci che i libri, se hai ancora l'ambizione, l'orgoglio e il senso di responsabilità di mantenerti aggiornato, te li devi comprare attingendo al magro conto corrente personale. Così non va bene.
Passi per i paesi più avanzati, ormai per noi miraggi irraggiungibili, dove in biblioteca ti puoi fermare a studiare persino di notte, ma anche paesi un tempo considerati "in via di sviluppo" come Cina, India e Corea ci stanno superando sul piano della conoscenza. Un ritardo, il nostro, che comincia a costarci caro. Da noi sembra ancora prevalere la vecchia logica patriarcale e contadina che per tenere più saldamente il potere è meglio concentrare il sapere nelle mani di pochi ed escludere la maggioranza dall'accesso alle informazioni. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Nella mia ormai non più breve carriera lavorativa mi sono invece imbattuto in biblioteche di ogni tipo, quasi tutte disfunzionali: biblioteche grandi come sgabuzzini, biblioteche in cui i libri sono tenuti sotto chiave, biblioteche in cui l'accesso è consentito per un'ora qualche giorno la settimana, biblioteche che "non ci sono i soldi per comprare i libri", biblioteche che non sai mai con esattezza dove sono ubicate, nascoste negli anfratti più improbabili, biblioteche che per consultare un testo o prenderlo in prestito devi annunciarti in anticipo. Sempre hai l'impressione di essere un ospite indesiderato, uno sgradito rompicoglioni. Capisci che i libri, se hai ancora l'ambizione, l'orgoglio e il senso di responsabilità di mantenerti aggiornato, te li devi comprare attingendo al magro conto corrente personale. Così non va bene.
Passi per i paesi più avanzati, ormai per noi miraggi irraggiungibili, dove in biblioteca ti puoi fermare a studiare persino di notte, ma anche paesi un tempo considerati "in via di sviluppo" come Cina, India e Corea ci stanno superando sul piano della conoscenza. Un ritardo, il nostro, che comincia a costarci caro. Da noi sembra ancora prevalere la vecchia logica patriarcale e contadina che per tenere più saldamente il potere è meglio concentrare il sapere nelle mani di pochi ed escludere la maggioranza dall'accesso alle informazioni. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Wednesday, July 18, 2007
Infermiere lavoro usurante
Per Luigi Angeletti, segretario nazionale della Uil, quella dell'infermiere è un'attività usurante, al pari di vigili del fuoco, portieri di notte, maestre d'asilo, poliziotti, carabinieri, lavoratori delle dogane e baristi. Lo dichiara in un'intervista pubblicata sul Corriere della Sera il 17 luglio 2007. Per definire i lavori usuranti, Angeletti utilizza i criteri del lavoro notturno e dello stress indotto dal contatto con l'utenza . Tra i lavori meno usuranti in assoluto, Angeletti colloca i docenti universitari, i magistrati e i piloti d'aereo.
Wednesday, April 25, 2007
Bravo Ministro!
"Considero l'Infermiere un protagonista assoluto e un alleato prezioso nella costruzione di una fase nuova del sistema sanitario che metta al centro il cittadino, la qualità e la sicurezza. Una fase nuova che ha come obiettivo, tra gli altri, la tutela della qualità della vita e della dignità della persona in ogni fase della esistenza. Noi sappiamo quanto traguardi così ambiziosi esigano un rinnovamento profondo del modo di interpretare la professione per chiunque operi in sanità, a cominciare dalla riscoperta del rapporto con le altre figure professionali, primi fra tutti i medici, e con i cittadini".
E' necessario far emergere motivazioni nuove per alleanze rinnovate, in grado di garantire che presa in carico, continuità assistenziale, integrazione, non rappresentino più mere petizioni di principio ma il modo concreto in cui decliniamo una parte significativa della tutela del diritto alla salute. Il Ministero che dirigo considera strategico il rapporto con le professioni e gli operatori della salute. Una attenzione particolare vogliamo dedicarla alla professione infermieristica, donne e uomini dei quali troppe volte si dimentica la straordinaria importanza, che non potranno che essere al centro della nuova stagione del Ssn che vogliamo inaugurare.
[...] Abbiamo bisogno, è evidente, di giovani che si avvicinino a questo percorso professionale con entusiasmo e passione, apprezzandone fino in fondo potenzialità e valore reale, al di là e al di fuori di ogni retorica. Ciò che proponiamo, lo abbiamo già detto, rappresenta una esigenza per il sistema, che non può consentirsi quasi nessuno degli sviluppi che ha messo in cantiere per il suo futuro prossimo senza contare su un profilo e un ruolo rinnovati e innovati della professione infermieristica. Ma questa esigenza del sistema, nel suo complesso, è anche, molto pragmaticamente, garanzia del riconoscimento effettivo da parte del Ssn, nei prossimi anni, della centralità delle funzioni infermieristiche".
Livia Turco (testo raccolto da Help Consumatori)
E' necessario far emergere motivazioni nuove per alleanze rinnovate, in grado di garantire che presa in carico, continuità assistenziale, integrazione, non rappresentino più mere petizioni di principio ma il modo concreto in cui decliniamo una parte significativa della tutela del diritto alla salute. Il Ministero che dirigo considera strategico il rapporto con le professioni e gli operatori della salute. Una attenzione particolare vogliamo dedicarla alla professione infermieristica, donne e uomini dei quali troppe volte si dimentica la straordinaria importanza, che non potranno che essere al centro della nuova stagione del Ssn che vogliamo inaugurare.
[...] Abbiamo bisogno, è evidente, di giovani che si avvicinino a questo percorso professionale con entusiasmo e passione, apprezzandone fino in fondo potenzialità e valore reale, al di là e al di fuori di ogni retorica. Ciò che proponiamo, lo abbiamo già detto, rappresenta una esigenza per il sistema, che non può consentirsi quasi nessuno degli sviluppi che ha messo in cantiere per il suo futuro prossimo senza contare su un profilo e un ruolo rinnovati e innovati della professione infermieristica. Ma questa esigenza del sistema, nel suo complesso, è anche, molto pragmaticamente, garanzia del riconoscimento effettivo da parte del Ssn, nei prossimi anni, della centralità delle funzioni infermieristiche".
Livia Turco (testo raccolto da Help Consumatori)
Thursday, April 05, 2007
Altrimenti ci arrabbiamo
Gli infermieri irlandesi chiedono una riduzione dell'orario di lavoro e un aumento di stipendio del 10%. Lo riferisce il sito Irlandiani.com
Dichiarano di essere arrabbiati, molto arrabbiati e minacciano lo sciopero. Finalmente, in qualche parte del mondo, anche gli infermieri, come le formiche, si incazzano e reclamano i propri sacrosanti diritti. Da imitare.
Dichiarano di essere arrabbiati, molto arrabbiati e minacciano lo sciopero. Finalmente, in qualche parte del mondo, anche gli infermieri, come le formiche, si incazzano e reclamano i propri sacrosanti diritti. Da imitare.
Friday, March 30, 2007
L'infermiere di famiglia
I vertici dell'Ipasvi hanno lanciato l'idea di introdurre in Italia l'infermiere di famiglia. La notizia è riportata dal quotidiano la Repubblica, sul supplemento Salute.
Oggi, è vero, l'assistenza territoriale è negletta, manca di sufficienti risorse e come dice Annalisa Silvestro, presidentessa dell'IPASVI, è giunto il momento per "lavorare alla creazione di una struttura di assistenza infermieristica sul territorio. In sostanza il paziente che torna a casa dopo una degenza deve poter contare su personale infermieristico che possa assisterlo anche a domicilio".
Tuttavia, si sa purtroppo come in Italia le buone idee vengano talvolta distorte cammin facendo. Temo che all'infermiere toccheranno tutte quelle incombenze più ingrate, di cui il medico di famiglia non vuole più farsi carico.
Oggi, è vero, l'assistenza territoriale è negletta, manca di sufficienti risorse e come dice Annalisa Silvestro, presidentessa dell'IPASVI, è giunto il momento per "lavorare alla creazione di una struttura di assistenza infermieristica sul territorio. In sostanza il paziente che torna a casa dopo una degenza deve poter contare su personale infermieristico che possa assisterlo anche a domicilio".
Tuttavia, si sa purtroppo come in Italia le buone idee vengano talvolta distorte cammin facendo. Temo che all'infermiere toccheranno tutte quelle incombenze più ingrate, di cui il medico di famiglia non vuole più farsi carico.
Monday, March 26, 2007
Braccia strappate all'agricoltura
A volte ho l'impressione che l'organizzazione dell'ospedale italiano combaci con quella del lavoro nei campi di cento, duecento anni fa. C'è il primario che è un prolungamento del vecchio padrone, libero di manifestare tutte le proprie manie e a cui tutti devono dare sempre ragione, c'è il caporeparto che è il fattore arcigno e autoritario che ti tallona passo passo e che non brilla quasi mai per comprensione ed empatia e infine c'è l'infemiere, che la legge dichiara responsabile dell'assistenza, ma che in realtà conta come l'antico bracciante, un semplice esecutore, un due di coppe, la remota rotella dell'ingranaggio cui attribuire il lavoro oneroso e le colpe per tutto quello che non va.
Fortunatamente non dappertutto è così, ma gran parte della mia esperienza professionale mi ha portato a queste amareggiate conclusioni.
Era ingiusto il trattamento riservato nei secoli scorsi al bracciante, che spesso era analfabeta, ma non per questo privo di dignità. Oggi, invece, l'infermiere è laureato anche se sarà ormai da trent'anni che moltissimi infermieri si affacciano al lavoro ospedaliero, pieni di buone intenzioni e aspettative, forniti di diplomi di scuola superiore, frequenze universitarie e, al di là dei titoli, preparazione culturale e intelligenza di tutto rispetto. Eppure il modo di lavorare è rimasto quello di secoli fa: strutture rigidamente gerarchiche, autoritarie, obsolete, alienate ed alienanti.
Ci sono molte ricerche scientifiche, puntualmente ignorate, che confermano l'inadeguatezza della attuale organizzazione degli ospedali. Si badi: una cattiva organizzazione non produce danni soltanto alle persone che la subiscono, ma ha ripercussioni negative anche in termini economici. Sono costi in più, tasse in più da pagare, soldi in più che devono sborsare i cittadini.
Gli infermieri scarseggiano, ma nulla cambia in Italia, ci sono troppi privilegi e prebende da difendere, ci sono lobby potenti che arrivano fino al parlamento e che frenano qualsiasi riforma. Non c'è traccia del passaggio della modernità in molte, troppe corsie italiane. Secoli di pensiero manageriale e innovativo sono passati invano. Alle scuole di economia insegnano delle cose che poi, nella pratica quotidiana, sono disattese. Evidentemente leggere, studiare e aggiornarsi è faticoso e chi comanda ha di meglio da fare.
A volte immagino che chi dirige tragga gratificazione da tutto ciò, una sensazione di onnipotenza, una piacevole sensazione di superiorità. Potere è meglio che fottere, dice un vecchio proverbio (siciliano?). Non lo so, mi riesce difficile immedesimarmi, non appartengo a razza padrona alcuna. L'autorealizzazione di una persona ritengo passi attraverso lo sviluppo e l'esercizio di altre qualità. Opprimere gli altri non mi ha mai interessato, i machiavellismi mi annoiano.
Ma non chiediamoci se nessuno vuol più fare l'infermiere e se quelli che ci sono appena possono scappano, si imboscano, cambiano lavoro.
Fortunatamente non dappertutto è così, ma gran parte della mia esperienza professionale mi ha portato a queste amareggiate conclusioni.
Era ingiusto il trattamento riservato nei secoli scorsi al bracciante, che spesso era analfabeta, ma non per questo privo di dignità. Oggi, invece, l'infermiere è laureato anche se sarà ormai da trent'anni che moltissimi infermieri si affacciano al lavoro ospedaliero, pieni di buone intenzioni e aspettative, forniti di diplomi di scuola superiore, frequenze universitarie e, al di là dei titoli, preparazione culturale e intelligenza di tutto rispetto. Eppure il modo di lavorare è rimasto quello di secoli fa: strutture rigidamente gerarchiche, autoritarie, obsolete, alienate ed alienanti.
Ci sono molte ricerche scientifiche, puntualmente ignorate, che confermano l'inadeguatezza della attuale organizzazione degli ospedali. Si badi: una cattiva organizzazione non produce danni soltanto alle persone che la subiscono, ma ha ripercussioni negative anche in termini economici. Sono costi in più, tasse in più da pagare, soldi in più che devono sborsare i cittadini.
Gli infermieri scarseggiano, ma nulla cambia in Italia, ci sono troppi privilegi e prebende da difendere, ci sono lobby potenti che arrivano fino al parlamento e che frenano qualsiasi riforma. Non c'è traccia del passaggio della modernità in molte, troppe corsie italiane. Secoli di pensiero manageriale e innovativo sono passati invano. Alle scuole di economia insegnano delle cose che poi, nella pratica quotidiana, sono disattese. Evidentemente leggere, studiare e aggiornarsi è faticoso e chi comanda ha di meglio da fare.
A volte immagino che chi dirige tragga gratificazione da tutto ciò, una sensazione di onnipotenza, una piacevole sensazione di superiorità. Potere è meglio che fottere, dice un vecchio proverbio (siciliano?). Non lo so, mi riesce difficile immedesimarmi, non appartengo a razza padrona alcuna. L'autorealizzazione di una persona ritengo passi attraverso lo sviluppo e l'esercizio di altre qualità. Opprimere gli altri non mi ha mai interessato, i machiavellismi mi annoiano.
Ma non chiediamoci se nessuno vuol più fare l'infermiere e se quelli che ci sono appena possono scappano, si imboscano, cambiano lavoro.
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Saturday, March 24, 2007
La rivolta degli infermieri
... ed ecco il secondo articolo di un'inchiesta giornalistica che ha tutta l'aria di essere seria e di continuare. Il buon giornalismo, d'altronde, è questo: ci mostra la realtà che, talvolta nella sua crudezza, è ben diversa dagli stereotipi radicati nella mente della gente comune, di tutti noi che magari ci formiamo i nostri costrutti personali su determinati argomenti, partendo da informazioni di seconda mano.
Il quadro che si profila credo sia emblematico non soltanto di Torino, bensì della realtà di molti ospedali italiani.
La rivolta degli infermieri di Salizzoni
Strumentisti sul piede di guerra al centro trapianti: «24 le ore lavorate nell'arco di due giorni consecutivi»
Il quadro che si profila credo sia emblematico non soltanto di Torino, bensì della realtà di molti ospedali italiani.
La rivolta degli infermieri di Salizzoni
Strumentisti sul piede di guerra al centro trapianti: «24 le ore lavorate nell'arco di due giorni consecutivi»
RAPHAEL ZANOTTI
TORINO
Era nell’aria. Dopo il Regina Margherita il primo ospedale da cui sarebbe partito un esposto sulle condizioni di lavoro degli infermieri sarebbe stato quello delle Molinette. Quello che forse non ci si aspettava è che i primi a ribellarsi sarebbero stati gli infermieri di un reparto d’élite come il Centro trapianti di fegato del professor Mauro Salizzoni, uno dei fiori all’occhiello del nosocomio torinese. Il Nursing Up, il sindacato che ha fatto partire il primo esposto, sta raccogliendo il materiale per il secondo e annuncia: «Seguiranno quelli di Cardiorianimazione, due di Medicina e un’altra sala operatoria: in tutto cinque esposti».
Incontriamo due dei quattro strumentisti del reparto del professore nei locali del sindacato. «Vogliamo premettere una cosa - dicono subito -. Lavorare con il professor Salizzoni è un onore, un’esperienza di arricchimento personale unica. Ma proprio per questo abbiamo deciso di esporci: questo lavoro ci piace, vogliamo dare il massimo per i nostri pazienti e la loro sicurezza ». Per comprendere cosa significa sicurezza è necessario capire cosa vuol dire lavorare in un centro trapianti come quello del professor Salizzoni: negli ultimi 22 giorni sono stati eseguiti 20 trapianti. «Quando ho iniziato - ricorda Mario (il nome è di fantasia) - avevamo 15-16 reperibilità al mese. Ben di più delle 6 previste dal contratto, ma comunque era una situazione che si poteva ancora sostenere. Oggi siamo a una media di 22. E ad aprile saremo a 24 considerando che un’altra strumentista andrà in pensione e che per formare una nuova figura di questo tipo ci vogliono dagli 8 mesi all’anno ». Essere strumentista significa avere sempre il cellulare acceso.
L’emergenza si chiama «fegato». Il donatore può essere ovunque. Entro un’ora bisogna avere tutto pronto, si sale in elicottero, si raggiunge il centro espianti, si recupera l’organo, si ritorna indietro e inizia l’operazione. Un donatore «dona» a qualunque ora del giorno o della notte. «Capita che si parta alle 20 e si rientri alle 3, le 4 del mattino - racconta Federico (anche questo nome di fantasia) -. In teoria il giorno dopo sarebbe di recupero ore. Spesso succede che alle 15 sei di nuovo di reperibilità per le urgenze. Due week end fa ho lavorato 24 ore in due giorni: stremante». Lavorare a questi ritmi è pericoloso, fa notare il Nursing Up. «Personalmente mi è capitato più volte di pungermi con un ago - dice Mario -. Oltre al timore di esserti infettato, devi constatare come, se fossi stato riposato, non ti sarebbe successo». La vita privata non esiste. «Ho una ragazza che fa l’infermiera - racconta Mario -. Se tutto va bene riusciamo a far coincidere i nostri turni in modo da avere un week end al mese per vederci». Le ore di straordinario non si contano. Si viaggia su una media di 40 al mese, quando il contratto ne prevede 180 all’anno con una possibilità, per il 5% del personale, di salire a 250. Ovviamente si sfora.
«C’è anche un altro problema che ci siamo posti in queste settimane - dice Mario -. Se succede qualcosa di grave, è ovvio che la magistratura deve accertare le responsabilità. Non vorremmo trovarci di fronte a un magistrato e doverci giustificare dicendo: “Lavoravo da troppe ore”. Una risposta inutile per i familiari. E altrettanto per il magistrato che non potrebbe che replicare: “Il vostro contratto ne prevede meno”. Avrebbe ragione». La sala operatoria, si sa, è luogo in cui le urgenze regolano la vita di tutti. Ma alle Molinette anche gli infermieri in corsia fanno fatica. Carla lavora in Medicina generale. «A febbraio ho saltato due volte il riposo - ricorda -. Nel nostro reparto c’erano sette persone in mutua. Eravamo in due per una trentina di pazienti, la metà da sollevare e lavare. Comincia a diventare impossibile: pago 520 euro al mese un asilo privato perché è l’unico che mi tiene i figli fino alle 19. In più, quando c’è un’emergenza, pago anche una baby sitter. Alla fine del mese se ne vanno 700 euro solo perché qualcuno guardi i miei figli e ne guadagno 1300. Praticamente spendo più della metà del mio stipendio solo per poter lavorare».
In Neurologia, altra infermiera, altra storia. Eppure così simile. Laura lavora da 14 anni. I continui cambi di orario, i turni e i riposi saltati hanno avuto, come effetto, lo sballamento del suo ciclo sonno- veglia: «Sono costretta da un anno a seguire una terapia di agopuntura per l’insonnia, questo non è normale».
Era nell’aria. Dopo il Regina Margherita il primo ospedale da cui sarebbe partito un esposto sulle condizioni di lavoro degli infermieri sarebbe stato quello delle Molinette. Quello che forse non ci si aspettava è che i primi a ribellarsi sarebbero stati gli infermieri di un reparto d’élite come il Centro trapianti di fegato del professor Mauro Salizzoni, uno dei fiori all’occhiello del nosocomio torinese. Il Nursing Up, il sindacato che ha fatto partire il primo esposto, sta raccogliendo il materiale per il secondo e annuncia: «Seguiranno quelli di Cardiorianimazione, due di Medicina e un’altra sala operatoria: in tutto cinque esposti».
Incontriamo due dei quattro strumentisti del reparto del professore nei locali del sindacato. «Vogliamo premettere una cosa - dicono subito -. Lavorare con il professor Salizzoni è un onore, un’esperienza di arricchimento personale unica. Ma proprio per questo abbiamo deciso di esporci: questo lavoro ci piace, vogliamo dare il massimo per i nostri pazienti e la loro sicurezza ». Per comprendere cosa significa sicurezza è necessario capire cosa vuol dire lavorare in un centro trapianti come quello del professor Salizzoni: negli ultimi 22 giorni sono stati eseguiti 20 trapianti. «Quando ho iniziato - ricorda Mario (il nome è di fantasia) - avevamo 15-16 reperibilità al mese. Ben di più delle 6 previste dal contratto, ma comunque era una situazione che si poteva ancora sostenere. Oggi siamo a una media di 22. E ad aprile saremo a 24 considerando che un’altra strumentista andrà in pensione e che per formare una nuova figura di questo tipo ci vogliono dagli 8 mesi all’anno ». Essere strumentista significa avere sempre il cellulare acceso.
L’emergenza si chiama «fegato». Il donatore può essere ovunque. Entro un’ora bisogna avere tutto pronto, si sale in elicottero, si raggiunge il centro espianti, si recupera l’organo, si ritorna indietro e inizia l’operazione. Un donatore «dona» a qualunque ora del giorno o della notte. «Capita che si parta alle 20 e si rientri alle 3, le 4 del mattino - racconta Federico (anche questo nome di fantasia) -. In teoria il giorno dopo sarebbe di recupero ore. Spesso succede che alle 15 sei di nuovo di reperibilità per le urgenze. Due week end fa ho lavorato 24 ore in due giorni: stremante». Lavorare a questi ritmi è pericoloso, fa notare il Nursing Up. «Personalmente mi è capitato più volte di pungermi con un ago - dice Mario -. Oltre al timore di esserti infettato, devi constatare come, se fossi stato riposato, non ti sarebbe successo». La vita privata non esiste. «Ho una ragazza che fa l’infermiera - racconta Mario -. Se tutto va bene riusciamo a far coincidere i nostri turni in modo da avere un week end al mese per vederci». Le ore di straordinario non si contano. Si viaggia su una media di 40 al mese, quando il contratto ne prevede 180 all’anno con una possibilità, per il 5% del personale, di salire a 250. Ovviamente si sfora.
«C’è anche un altro problema che ci siamo posti in queste settimane - dice Mario -. Se succede qualcosa di grave, è ovvio che la magistratura deve accertare le responsabilità. Non vorremmo trovarci di fronte a un magistrato e doverci giustificare dicendo: “Lavoravo da troppe ore”. Una risposta inutile per i familiari. E altrettanto per il magistrato che non potrebbe che replicare: “Il vostro contratto ne prevede meno”. Avrebbe ragione». La sala operatoria, si sa, è luogo in cui le urgenze regolano la vita di tutti. Ma alle Molinette anche gli infermieri in corsia fanno fatica. Carla lavora in Medicina generale. «A febbraio ho saltato due volte il riposo - ricorda -. Nel nostro reparto c’erano sette persone in mutua. Eravamo in due per una trentina di pazienti, la metà da sollevare e lavare. Comincia a diventare impossibile: pago 520 euro al mese un asilo privato perché è l’unico che mi tiene i figli fino alle 19. In più, quando c’è un’emergenza, pago anche una baby sitter. Alla fine del mese se ne vanno 700 euro solo perché qualcuno guardi i miei figli e ne guadagno 1300. Praticamente spendo più della metà del mio stipendio solo per poter lavorare».
In Neurologia, altra infermiera, altra storia. Eppure così simile. Laura lavora da 14 anni. I continui cambi di orario, i turni e i riposi saltati hanno avuto, come effetto, lo sballamento del suo ciclo sonno- veglia: «Sono costretta da un anno a seguire una terapia di agopuntura per l’insonnia, questo non è normale».
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Infermieri schiavi dell'ospedale
Riporto due articoli significativi sulla condizione degli infermieri negli ospedali italiani, articoli che dovrebbe far riflettere chi ancora pensa che lavorare nel pubblico significhi spassarsela. Opinione che sembra largamente condivisa anche nelle stanze del potere. La fonte è il sito del quotidiano di Torino La Stampa. Ecco il primo articolo...
Infermieri "schiavi dell'ospedale"
E' di 16 ore al giorno il doppio turno previsto dal Regina Margherita
RAPHAEL ZANOTTI
TORINO
Avvertenza: i nomi sono rigorosamente di fantasia, le storie no. Nude e crude, così come ce le hanno raccontate nei bagni, dietro l’angolo di un corridoio, nascosti da un anfratto, gli infermieri dell’ospedale Regina Margherita. Perché sembra incredibile, eppure anche qui, tra alberi, orsetti e farfalle disegnati sui muri dell’ospedale infantile, c’è chi ha paura a parlare. L’esposto sulle condizioni di lavoro partito dal piccolo nosocomio ha innescato un effetto domino. Presto anche gli infermieri delle Molinette presenteranno un esposto simile alla direzione provinciale del Lavoro. E questo, è naturale, fa scattare un meccanismo: timore di rappresaglie. Michela la incontriamo vicino a Rianimazione. «Non qui - dice - e si sposta dietro un angolo - non voglio che mi vedano». Racconta del suo reparto. «La reperibilità ormai viene utilizzata per coprire i buchi. Solo qualche giorno fa ho svolto il mio normale turno dalle 15 alle 23, poi ho fatto la notte in reperibilità in ospedale, il mattino ho dormito e il pomeriggio ero di nuovo qui. Purtroppo non è un evento unico. Il problema è che così si rischia: noi e, quel che è peggio, il paziente». Michela si ferma. L’ascensore è arrivato al piano. Passano due persone e ricomincia: «Il mio lavoro mi piace, non lascerei mai un paziente in difficoltà. Però, così, non ho una vita privata. Fidanzati? Figli? E chi ha il tempo? Bisognerebbe fare un’indagine solo per vedere quanti divorzi sono dovuti a un nome sui turni della settimana».
Scendendo le scale s’incontrano operai indaffarati. «Sono qui da stamattina - avverte Lorenzo, un infermiere iscritto al Nursing Up, il sindacato di categoria che ha presentato la lettera esposto -. Sarà un caso, ma da stamattina si lavora nelle sale operatorie, sono comparsi i presidi medici per la sicurezza prima introvabili, si rattoppa, si ripara... e agli infermieri è vietato rilasciare interviste alla stampa». La sicurezza è un altro di quei temi di cui si parla sottovoce, nei corridoi. «Le porte di radiologia non sono schermate col piombo - dice Lorenzo -. Inoltre chi lavora nelle sale operatorie non percepisce l’indennità per le radiazioni. È strano, ma gli infermieri della sala gessi che vengono in radiologia una volta ogni tanto, l’hanno. Noi no. Nessuno capisce perché». Il Regina Margherita ha quattro sale operatorie. Gli infermieri sono pochi, e così la reperibilità diventa la norma. «In teoria il contratto prevede sei reperibilità al mese, ma non è mai così» spiega Claudio Delli Carri del Nursing Up. «La mia media è di 13 al mese - racconta subito Lorenzo -, ma chi lavora nella sala di cardiochirurgia, più specialistica, è arrivato anche a 28». La reperibilità è la morte di ogni progetto di vita oltre il lavoro, al di là della corsia. Essere reperibili significa non allontanarsi mai oltre una distanza di 20 chilometri dall’ospedale. Significa vivere costantemente con una parte della testa al lavoro. Dormire con un occhio solo.
Giulia lavora così. La contattiamo a fine turno grazie al numero di cellulare che ci lascia per evitare di farsi vedere mentre parliamo con lei. «Mi è capitato di fare più volte il doppio turno, oltre 16 ore di lavoro. Sono separata e con figli, per fortuna c’è mia madre che mi dà una mano, altrimenti non saprei proprio come fare. Purtroppo, a volte, si ha l’impressione che facciano leva sul buonsenso, sul fatto che se hai scelto di fare questo mestiere, un paziente non lo lascerai mai senza essere sicuro». Anche al pronto soccorso, le cose non vanno meglio. Katia racconta delle «colleghe in mutua pur di riposarsi» e del «codice bianco», dodici ore di filato di domenica dopo aver già svolto il numero di ore regolari. «Sai che questo è straordinario?» le chiede Delli Carri. «No» è la risposta. «Ecco - dice il sindacalista - anche così nascono queste storture».
Infermieri "schiavi dell'ospedale"
E' di 16 ore al giorno il doppio turno previsto dal Regina Margherita
RAPHAEL ZANOTTI
TORINO
Avvertenza: i nomi sono rigorosamente di fantasia, le storie no. Nude e crude, così come ce le hanno raccontate nei bagni, dietro l’angolo di un corridoio, nascosti da un anfratto, gli infermieri dell’ospedale Regina Margherita. Perché sembra incredibile, eppure anche qui, tra alberi, orsetti e farfalle disegnati sui muri dell’ospedale infantile, c’è chi ha paura a parlare. L’esposto sulle condizioni di lavoro partito dal piccolo nosocomio ha innescato un effetto domino. Presto anche gli infermieri delle Molinette presenteranno un esposto simile alla direzione provinciale del Lavoro. E questo, è naturale, fa scattare un meccanismo: timore di rappresaglie. Michela la incontriamo vicino a Rianimazione. «Non qui - dice - e si sposta dietro un angolo - non voglio che mi vedano». Racconta del suo reparto. «La reperibilità ormai viene utilizzata per coprire i buchi. Solo qualche giorno fa ho svolto il mio normale turno dalle 15 alle 23, poi ho fatto la notte in reperibilità in ospedale, il mattino ho dormito e il pomeriggio ero di nuovo qui. Purtroppo non è un evento unico. Il problema è che così si rischia: noi e, quel che è peggio, il paziente». Michela si ferma. L’ascensore è arrivato al piano. Passano due persone e ricomincia: «Il mio lavoro mi piace, non lascerei mai un paziente in difficoltà. Però, così, non ho una vita privata. Fidanzati? Figli? E chi ha il tempo? Bisognerebbe fare un’indagine solo per vedere quanti divorzi sono dovuti a un nome sui turni della settimana».
Scendendo le scale s’incontrano operai indaffarati. «Sono qui da stamattina - avverte Lorenzo, un infermiere iscritto al Nursing Up, il sindacato di categoria che ha presentato la lettera esposto -. Sarà un caso, ma da stamattina si lavora nelle sale operatorie, sono comparsi i presidi medici per la sicurezza prima introvabili, si rattoppa, si ripara... e agli infermieri è vietato rilasciare interviste alla stampa». La sicurezza è un altro di quei temi di cui si parla sottovoce, nei corridoi. «Le porte di radiologia non sono schermate col piombo - dice Lorenzo -. Inoltre chi lavora nelle sale operatorie non percepisce l’indennità per le radiazioni. È strano, ma gli infermieri della sala gessi che vengono in radiologia una volta ogni tanto, l’hanno. Noi no. Nessuno capisce perché». Il Regina Margherita ha quattro sale operatorie. Gli infermieri sono pochi, e così la reperibilità diventa la norma. «In teoria il contratto prevede sei reperibilità al mese, ma non è mai così» spiega Claudio Delli Carri del Nursing Up. «La mia media è di 13 al mese - racconta subito Lorenzo -, ma chi lavora nella sala di cardiochirurgia, più specialistica, è arrivato anche a 28». La reperibilità è la morte di ogni progetto di vita oltre il lavoro, al di là della corsia. Essere reperibili significa non allontanarsi mai oltre una distanza di 20 chilometri dall’ospedale. Significa vivere costantemente con una parte della testa al lavoro. Dormire con un occhio solo.
Giulia lavora così. La contattiamo a fine turno grazie al numero di cellulare che ci lascia per evitare di farsi vedere mentre parliamo con lei. «Mi è capitato di fare più volte il doppio turno, oltre 16 ore di lavoro. Sono separata e con figli, per fortuna c’è mia madre che mi dà una mano, altrimenti non saprei proprio come fare. Purtroppo, a volte, si ha l’impressione che facciano leva sul buonsenso, sul fatto che se hai scelto di fare questo mestiere, un paziente non lo lascerai mai senza essere sicuro». Anche al pronto soccorso, le cose non vanno meglio. Katia racconta delle «colleghe in mutua pur di riposarsi» e del «codice bianco», dodici ore di filato di domenica dopo aver già svolto il numero di ore regolari. «Sai che questo è straordinario?» le chiede Delli Carri. «No» è la risposta. «Ecco - dice il sindacalista - anche così nascono queste storture».
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Carenza di infermieri? Balle. Ci sono, ma sono imboscati
Ormai il problema della carenza di infermieri è diventato simile alla peste manzoniana: tutti alla ricerca dei possibili "untori". Novello don Ferrante, per lo stimabilissimo prof Mauro Salizzoni, responsabile del Centro Trapianti all'ospedale Molinette di Torino, per altri versi professatore di idee generali politically correct, la crisi degli infermieri non esiste. La verità è che gli infermieri ci sono, soltanto che il 50% di loro è "imboscato", protetto dal sindacato.
E' quanto afferma in un intervista apparsa su La Stampa Web, nella rubrica-blog Stetoscopio.
Personalmente, presumo sia vero che esistono nella sanità degli "imboscati", come d'altra parte in qualsiasi settore del Pubblico Impiego. Non ne ho, s'intende, le prove. Imboscati ce ne sono persino nelle aziende private e non solo in Italia.
Sono perfettamente d'accordo che sia un fenomeno da combattere e non solo a parole. Sono d'accordo anche quando l'illustre medico dice che gli incentivi distribuiti a pioggia a chi si fa un mazzo tanto e agli assenteisti sono ingiusti.
Le idee del professor Salizzoni, di cui, sia chiaro, ammiro il valore professionale, non mi sembrano tuttavia cogliere il nocciolo della questione. Storicamente la classe medica, in virtù dei privilegi ormai secolari di cui gode, è una delle categorie professionali più conservatrici del Paese. Tende a vedere i problemi secondo una prospettiva deformata dalla tradizione e, a mio avviso, superata. Le idee del professor Salizzoni sulla questione infermieristica non mi sembrano smentire questa osservazione.
Non dimentichiamo che la la sanità, così com'è in Italia, hanno contribuito a crearla principalmente i politici e i medici, che del sistema sono le grandi star. A loro, dunque, gli onori, ma anche gli oneri.
La colpa dei ritardi organizzativi, dei ricoveri impropri, delle liste di attesa che si accorciano a seconda del reddito dell'utente, dell'interessata dipendenza dalla grande industria farmaceutica e dai suoi maneggi, non è soltanto degli amministratori.
Gli scandali della sanità che si sono succeduti a ritmo incalzante negli ultimi decenni , - e quelli emersi hanno tutta l'aria di essere soltanto la punta dell'iceberg -, hanno purtroppo coinvolto moltissimi medici e soltanto sfiorato gli infermieri, il cui potere all'interno dell'organizzazione sanitaria è, diciamocelo con franchezza, prossimo allo zero.
Sono poi in gran parte i medici che hanno contribuito a creare (o a tollerare) quell'ambiente lavorativo demotivante, epperò funzionale al loro prestigio professionale e alle loro esigenze (loro, non del malato!), che è ancora, in troppi contesti, l'ospedale italiano. In questa direzione vanno ricercati i motivi della grave carenza di infermieri nel nostro Paese.
La crisi degli infermieri si combatte perciò restituendo loro dignità, rispetto, autonomia professionale, riconoscimento sociale ed economico. Limitarsi a recuperare un manipolo di "imboscati" non porta, credo, molto lontano.
E' quanto afferma in un intervista apparsa su La Stampa Web, nella rubrica-blog Stetoscopio.
Personalmente, presumo sia vero che esistono nella sanità degli "imboscati", come d'altra parte in qualsiasi settore del Pubblico Impiego. Non ne ho, s'intende, le prove. Imboscati ce ne sono persino nelle aziende private e non solo in Italia.
Sono perfettamente d'accordo che sia un fenomeno da combattere e non solo a parole. Sono d'accordo anche quando l'illustre medico dice che gli incentivi distribuiti a pioggia a chi si fa un mazzo tanto e agli assenteisti sono ingiusti.
Le idee del professor Salizzoni, di cui, sia chiaro, ammiro il valore professionale, non mi sembrano tuttavia cogliere il nocciolo della questione. Storicamente la classe medica, in virtù dei privilegi ormai secolari di cui gode, è una delle categorie professionali più conservatrici del Paese. Tende a vedere i problemi secondo una prospettiva deformata dalla tradizione e, a mio avviso, superata. Le idee del professor Salizzoni sulla questione infermieristica non mi sembrano smentire questa osservazione.
Non dimentichiamo che la la sanità, così com'è in Italia, hanno contribuito a crearla principalmente i politici e i medici, che del sistema sono le grandi star. A loro, dunque, gli onori, ma anche gli oneri.
La colpa dei ritardi organizzativi, dei ricoveri impropri, delle liste di attesa che si accorciano a seconda del reddito dell'utente, dell'interessata dipendenza dalla grande industria farmaceutica e dai suoi maneggi, non è soltanto degli amministratori.
Gli scandali della sanità che si sono succeduti a ritmo incalzante negli ultimi decenni , - e quelli emersi hanno tutta l'aria di essere soltanto la punta dell'iceberg -, hanno purtroppo coinvolto moltissimi medici e soltanto sfiorato gli infermieri, il cui potere all'interno dell'organizzazione sanitaria è, diciamocelo con franchezza, prossimo allo zero.
Sono poi in gran parte i medici che hanno contribuito a creare (o a tollerare) quell'ambiente lavorativo demotivante, epperò funzionale al loro prestigio professionale e alle loro esigenze (loro, non del malato!), che è ancora, in troppi contesti, l'ospedale italiano. In questa direzione vanno ricercati i motivi della grave carenza di infermieri nel nostro Paese.
La crisi degli infermieri si combatte perciò restituendo loro dignità, rispetto, autonomia professionale, riconoscimento sociale ed economico. Limitarsi a recuperare un manipolo di "imboscati" non porta, credo, molto lontano.
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Saturday, March 17, 2007
Il ministro istituisce una Commissione nazionale sulle scienze infermieristiche
Il ministro Livia Turco, intervenendo alla prima Conferenza nazionale sulle politiche per la professione infermieristica, organizzata dalla Federazione Ipasvi, ha annunciato l'istituzione di una Commissione nazionale sulle scienze infermieristiche. "Fino dalla mia prima esperienza nelle politiche sociali ho compreso che quella dell’infermiere è una figura strategica e fondamentale”, ha detto il ministro e ha aggiunto che occorre un salto culturale che metta fine all'idea dell'infermiere che "affianca". L'infermiere invece, secondo Livia Turco,"organizza e gestisce".
La notizia è riportata da Il Bisturi, in data 16 marzo.
Speriamo non si tratti delle solite belle parole, delle promesse che poi si perdono per strada. Di certo la sanità italiana, nell'interesse degli infermieri e dei cittadini, al di là della ormai improcrastinabile valorizzazione della figura infermieristica, abbisogna di una riorganizzazione profonda, che metta in risalto la trasparenza, il merito, la responsabilità e la buona gestione. Dalla piena attuazione di tali valori siamo purtroppo ancora molto lontani, anche nelle Regioni in apparenza più avanzate.
La notizia è riportata da Il Bisturi, in data 16 marzo.
Speriamo non si tratti delle solite belle parole, delle promesse che poi si perdono per strada. Di certo la sanità italiana, nell'interesse degli infermieri e dei cittadini, al di là della ormai improcrastinabile valorizzazione della figura infermieristica, abbisogna di una riorganizzazione profonda, che metta in risalto la trasparenza, il merito, la responsabilità e la buona gestione. Dalla piena attuazione di tali valori siamo purtroppo ancora molto lontani, anche nelle Regioni in apparenza più avanzate.
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Sunday, October 29, 2006
Via gli infermieri dall'università
Scrive sull'ultimo numero de L'Espresso Silvio Garattini, direttore dell'Istituto Mario Negri di Milano, per altri versi scienziato e organizzatore di molti meriti: "Abbiamo troppe facoltà che vogliono fare tutto: dalla formazione degli infermieri ai dottori di ricerca (già, il fondo del barile e l'empireo, l'alfa e l'omega, ndr) mentre bisognerebbe ben distinguere le scuole che formano tecnici da quelle che preparano i dirigenti".
Insomma, pare che la presenza degli infermieri corrompa, secondo l'esimio professore, la purezza della già pericolante università italiana. Ma guardi, caro professore, che non soltanto in Italia gli infermieri si formano all'università: accade in tutti quei Paesi avanzati, cui noi guardiamo con ammirazione.
Sul Sole Sanità mi capita poi di leggere un trafiletto rigorosamente anonimo, dal titolo "Dottori sì... col vocabolario", in cui si ironizza sul titolo di "dottore", che potrebbe essere conferito anche agli infermieri.
Più che di sottile ironia, in verità nell'articolo si fa del bieco sarcasmo di retroguardia.
Eh sì, signora mia, il mondo va prorio a rotta di collo e non ci sono più le mezze stagioni. Vuole mettere quel bell'ordine ottocentesco, in cui ognuno stava al proprio posto?
Insomma, pare che la presenza degli infermieri corrompa, secondo l'esimio professore, la purezza della già pericolante università italiana. Ma guardi, caro professore, che non soltanto in Italia gli infermieri si formano all'università: accade in tutti quei Paesi avanzati, cui noi guardiamo con ammirazione.
Sul Sole Sanità mi capita poi di leggere un trafiletto rigorosamente anonimo, dal titolo "Dottori sì... col vocabolario", in cui si ironizza sul titolo di "dottore", che potrebbe essere conferito anche agli infermieri.
Più che di sottile ironia, in verità nell'articolo si fa del bieco sarcasmo di retroguardia.
Eh sì, signora mia, il mondo va prorio a rotta di collo e non ci sono più le mezze stagioni. Vuole mettere quel bell'ordine ottocentesco, in cui ognuno stava al proprio posto?
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Sunday, October 22, 2006
Una nuova cultura organizzativa
Scrive il professor Umberto Veronesi, ex ministro della Sanità, su L'Espresso, datato 26 ottobre 2006, nell'articolo dal titolo "Veronesi Hospital":
"E' inutile acquistare apparecchiature modernissime e preoccuparsi di gestire le alte tecnologie, quando si dimentica che il vero valore aggiunto di un'impresa sono le risorse umane. Nella sanità, che non è tarata sul profitto, ma che va comunque gestita come impresa, non si può rischiare di aumentare ancora di più il gap tra evoluzione tecnologica e involuzione organizzativa. La cosiddetta umanizzazione degli ospedali (e in genere dei servizi preposti alla salute del cittadino), comincia proprio con l'interesse partecipativo di chi ci lavora, ed è certo che non si può raggiungere la qualità delle cure se non si fa passare una cultura nuova, di valorizzazione professionale di medici, biologi, tecnici e infermieri. Con una novità molto più umanizzante delle volenterose piante verdi che stanno comparendo un po' dappertutto: la formazione dei curanti dovrà avere come punto di riferimento la persona nel suo complesso e non solo la preparazione scientifica e tecnico-operativa. Ma la qualità di queste relazioni dipende molto spesso dalle condizioni di lavoro riservate al personale: contano condizioni come il coinvolgimento, la formazione, l'aggiornamento continuo professionale, la capacità del direttore di divisione di fare squadra, di stimolare motivazioni intellettuali e creare un'organizzazione che cura con grande attenzione la continua crescita professionale".
Si tratta di opinioni largamente condivisibili, che sfondano porte aperte. Purtroppo, anche nelle realtà dove sono propagandate, si rivelano spesso vuote formule, parole d'ordine che rimangono nella lettera, ma non nello spirito, verbi che non si fanno mai carne.
Siamo, ahinoi, ancora lontani anni luce da una cultura organizzativa davvero nuova, estranea all'arroganza, all'immobilismo e ai privilegi.
"E' inutile acquistare apparecchiature modernissime e preoccuparsi di gestire le alte tecnologie, quando si dimentica che il vero valore aggiunto di un'impresa sono le risorse umane. Nella sanità, che non è tarata sul profitto, ma che va comunque gestita come impresa, non si può rischiare di aumentare ancora di più il gap tra evoluzione tecnologica e involuzione organizzativa. La cosiddetta umanizzazione degli ospedali (e in genere dei servizi preposti alla salute del cittadino), comincia proprio con l'interesse partecipativo di chi ci lavora, ed è certo che non si può raggiungere la qualità delle cure se non si fa passare una cultura nuova, di valorizzazione professionale di medici, biologi, tecnici e infermieri. Con una novità molto più umanizzante delle volenterose piante verdi che stanno comparendo un po' dappertutto: la formazione dei curanti dovrà avere come punto di riferimento la persona nel suo complesso e non solo la preparazione scientifica e tecnico-operativa. Ma la qualità di queste relazioni dipende molto spesso dalle condizioni di lavoro riservate al personale: contano condizioni come il coinvolgimento, la formazione, l'aggiornamento continuo professionale, la capacità del direttore di divisione di fare squadra, di stimolare motivazioni intellettuali e creare un'organizzazione che cura con grande attenzione la continua crescita professionale".
Si tratta di opinioni largamente condivisibili, che sfondano porte aperte. Purtroppo, anche nelle realtà dove sono propagandate, si rivelano spesso vuote formule, parole d'ordine che rimangono nella lettera, ma non nello spirito, verbi che non si fanno mai carne.
Siamo, ahinoi, ancora lontani anni luce da una cultura organizzativa davvero nuova, estranea all'arroganza, all'immobilismo e ai privilegi.
Friday, October 20, 2006
Lontani dai malati
"Nella sanità in alcune regioni più di un quarto degli infermieri si mette in malattia e può essere adibito solo a funzioni di ufficio, lontano dalle corsie, dai malati".
Questo scrive Tito Boeri, valente economista su La Stampa di oggi ("Finanziaria inadeguata"), segnalando, a suo modo di vedere, una delle emergenze del sistema-paese. E certo si tratta di un fenomeno su cui bisogna seriamente riflettere.
Aggiungendo però, per completare il quadro e per amore di verità, che molti infermieri animati da competenza e buona volontà, con la possibilità di fare di più per i malati, sono frenati da ambienti organizzativi obsoleti, zero autonomia, salari bassi, scarsi incentivi e minime possibilità di migliorare la propria posizione professionale.
Senza una visione più articolata e senza mettere mano a una revisione più radicale di quella che è oggi l'organizzazione sanitaria italiana, con le sue rendite di posizione e i privilegi feudali di cui godono talune categorie e taluni personaggi, non si va comunque molto lontano. E' come volere curare il cancro con l'aspirina.
Questo scrive Tito Boeri, valente economista su La Stampa di oggi ("Finanziaria inadeguata"), segnalando, a suo modo di vedere, una delle emergenze del sistema-paese. E certo si tratta di un fenomeno su cui bisogna seriamente riflettere.
Aggiungendo però, per completare il quadro e per amore di verità, che molti infermieri animati da competenza e buona volontà, con la possibilità di fare di più per i malati, sono frenati da ambienti organizzativi obsoleti, zero autonomia, salari bassi, scarsi incentivi e minime possibilità di migliorare la propria posizione professionale.
Senza una visione più articolata e senza mettere mano a una revisione più radicale di quella che è oggi l'organizzazione sanitaria italiana, con le sue rendite di posizione e i privilegi feudali di cui godono talune categorie e taluni personaggi, non si va comunque molto lontano. E' come volere curare il cancro con l'aspirina.
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